Il Cerchio Colorato: storia di Branding

Per la storia di branding di oggi, parliamo de “Il cerchio colorato”, Associazione che si occupa di aiutare le famiglie con bambini autistici.

Cominciamo?

 

INCIPIT

Il Cerchio Colorato è una piccola Cooperativa Sociale che si occupa di aiutare i bambini autistici e le loro famiglie. Offerte educative e consulenze pedagogiche che culminano con attività 1:1 con i bambini, che vengono così seguiti in modo personale nelle varie attività del centro.

Come spesso capita, la buona volontà supera di gran lunga la disponibilità economica anche perché insegnanti specializzati, corsi di aggiornamento, locali... non si pagano con la buona volontà. Non interamente, almeno.

Veniamo contattati per capire se ci possono o meno essere margini per rivedere l'immagine de “Il cerchio” e il messaggio “pubblicitario” in modo da riuscire a mettersi al passo coi tempi in termini di comunicazione e aumentare le entrate derivanti dalle donazioni.

Il discorso è molto complesso (non solo per il tema trattato), ma anche perché parlare di comunicazione apre un mondo di attività che potrebbero essere svolte. Prima fra tutte, crediamo sia quella legata al logo associativo. Tutto ciò che ci mostrano in termini di strumenti di comunicazione è sbilanciato e poco chiaro, logo in primis.

Ci viene spiegato il motivo per cui sono arrivati a produrre materiali del genere, ma riteniamo che siano comunque inadeguati.

“Ma si tratta di una associazione! Si parla di bambini autistici! Non possiamo trattare il tutto come un prodotto! Ne snaturerebbe la valenza etica-sociale. Noi non vendiamo nulla!”

Troviamo il primo grosso, grossissimo intoppo. Non è la prima volta che lo affrontiamo, ma è sempre molto difficile da trattare: chi lavora in queste realtà (soprattutto quando ci sono bambini e disagi davvero importanti) sente sulle proprie spalle un peso reale, un vero macigno che tocca corde profonde. “Sporcare” queste corde con il “marketing”, o suonarle in modo poco virtuoso risulta inconcepibile.

Noi crediamo, invece, che è proprio per il bene che si vuole a quei bambini (o qualunque sia l'oggetto dell'intervento dell'associazione) che gli sforzi in comunicazione debbano essere professionali. A costo di risultare cinici (ma poi, perché?) crediamo che si debbano trattare anche queste situazioni come prodotti. Prodotti che hanno un posizionamento, un prezzo, una reason why. Un pubblico. Non si può andare a caso. Il valore di un buon messaggio, di un buon logo, si ripercuote in modo ancora più diretto sulla possibile donazione, proprio perché è una donazione. Proprio perché si tratta di bambini. Non è una questione di mera bellezza, o di design. È una questione di posizionamento. Un posizionamento serio, ponderato, professionale, avrà un effetto diretto sulla percezione del servizio. E non può che essere un diretto vantaggio per l'associazione e quindi, in definitiva, per i bambini. Spieghiamo come un ragionamento di marketing non sia il male, ma sia un modo serio di affrontare il problema della mancanza di donazioni.

A parte questa digressione concettuale, le resistenze sono molto forti. Tutto ciò che hanno creato sino ad ora è intimamente legato al loro essere, è parte integrante della loro vita. Rinunciarci è molto, molto difficile.

Torniamo in studio con alcune indicazioni da seguire:

  • Nessuno stravolgimento di logo. Un restyle? Forse. Un logo nuovo? NO.
  • Il naming è immutabile. Quello è, quello sarà.
  • Il cerchio piace, i colori anche. Forse non tutti.
  • La font non li ha mai convinti fino in fondo, che sia all'interno del cerchio piace. Ma forse no.

 

SVILUPPO

Qui a destra trovate il logo da cui siamo partiti.

La prima cosa che ci salta subito all'occhio di questo logo, come spesso capita in situazioni analoghe, è che non si capisce di cosa si stia parlando. Non aiuta il logo in sé, non aiuta il naming, non aiutano i colori.

 

O meglio: un occhio allenato potrebbe pensare che si tratti di un'associazioni benefica, ma una delle milioni in Italia. Non c'è una precisa identità, non viene aiutato il lettore in alcun modo. Il fatto di utilizzare una font così bambinesca all'interno del cerchio, non aiuta neanche la lettura. Si vede che c'è un approccio inesperto. Lo capiamo, ci mancherebbe, ma questo è molto pericoloso in termini di posizionamento.

Decidiamo però di non partire con il bulldozer. Non avrebbe senso, né sarebbe una mossa intelligente. Il cerchio colorato è l'unico elemento che ci sentiamo in dovere di mantenere anche solo per una questione di coerenza con il naming. Decidiamo di ridisegnarlo in vettoriale e di utilizzare una palette di colori simile, ma più organica rispetto a quella originale. Il verde e il giallo centrali sono troppo “rotten”, vorremmo un mood pastello più gradevole.

Risolta la questione del cerchio, sistemato le forme e i colori decidiamo che non ci sia spazio all'interno della figura per la font. Disturba, rovina e si capisce lontano un miglio che è una soluzione di prima mano. Senza un vero ragionamento di “marca”. (eh sì, è pur sempre una marca).

Dopo una breve ricerca, troviamo una font che fa esattamente al caso nostro: tra le nuove font disponibili nella fundry Adobe troviamo il TORNAC. Uno stile handwriting, ma dalla buonissima leggibilità anche con un corpo molto piccolo. Le maiuscole sono vezzose, ma non pretenziose e soprattutto la legatura in minuscolo tra una lettera e un'altra è precisissima. Sembra davvero che sia stato “scritto” senza interruzioni. Proviamo quindi a inserirlo nel nostro logo: le prime prove non ci convincono subito, ma troviamo la quadra pensando in modo schematico. È un cerchio, perché la font non dovrebbe seguire questa direzione?

Comincia la parte più complessa: come parlare di bambini? Dovremmo parlare dell'autismo? Sì? No? E se sì... come? L'autismo non è una malattia, non ha “peculiarità” visibili. Non ha un “segno”, un' “iconografia” utile. (Vorremmo non essere fraintesi: questo modo di ragionare può sembrare molto cinico, poco di “cuore”. Si parla di utilità, di peculiarità... quando si tratta di una grave situazione, quando nessun bambino dovrebbe essere etichettato in questo modo. Soprattutto se autistico. Ripartiamo però dall'inizio: il nostro obiettivo è trovare un linguaggio chiaro, condiviso, coerente e corretto per parlare di una realtà che cerca aiuto per sopravvivere a livello economico. Non possiamo/dobbiamo prenderci il lusso di non ragionare in modo organico e orientato ad uno specifico obiettivo che è quello di far arrivare più soldi, perché solo così possiamo aiutare più bambini.)

È il cliente che ci viene in aiuto.

“Il bambino autistico non è malato. Ha una percezione diversa del mondo che lo circonda. Vede le nostre stesse cose, in modo diverso. Stimoli diversi, per la stessa percezione. Dobbiamo aiutarli ad avvicinarsi ad una realtà più sopportabile”.

Tralasciando qualsiasi ragionamento in ambito clinico, troviamo che il concetto di avvicinarsi sia stimolante. Sono bambini che devono afferrare la nostra realtà, perché per loro è solo un po' più lontana rispetto a quanto non lo sia per noi. C'è movimento, c'è aspirazione, c'è volontà, c'è speranza. In questo insight c'è la soluzione.

 

LA SOLUZIONE

Una semplice silhouette di un bambino che cerca di afferrare qualcosa, è quel segno potente e deciso che cercavamo. È un segno che parla subito dell'obiettivo del centro, identificando il beneficiario degli sforzi (non solo economici)

È un segno non statico, è un segno che ha una carica di speranza intrinseca nel gesto del piccolo protagonista: sta cercando di afferrare qualcosa, starà a noi dargli questa possibilità. È un segno che ci parla, senza pretendere nulla.

La soluzione ci convince in pieno e utilizzare questo simbolo al centro del cerchio, non ne rovina alcuna leggibilità. Anzi! La leggibilità viene migliorata e di molto. Il cerchio e il bimbo dicono una cosa, la font con naming un'altra. Non c'è sovrapposizione, non c'è confusione. Tutto ha la propria dimensione e il proprio spazio di lettura.

Un leggero aggiustamento colore sul rush finale, dona al logo un'apparenza ancora più giocosa e gioiosa. Il logo adesso trasmette subito un posizionamento senza incomprensioni: si tratta sicuramente di bambini.

Il cliente ne è davvero soddisfatto e trova una lettura ancora diversa, che non non avevamo colto nel realizzarlo.

“Voi vedete la mano che cerca di afferrare qualcosa in alto, io noto di più la mano in basso. È quella che i bambini ci offrono quando hanno davvero bisogno di aiuto.”

 

COSA CI PORTIAMO A CASA

  • Non perdiamo mai la bussola. Anche in situazioni difficili come possono essere quelle che tratta il Cerchio Colorato, la questione di posizionamento, di messaggio, o di “marca” se vogliamo alzare ancora di più il concetto, non può essere lasciata in secondo piano. Proprio per la portata degli argomenti, degli sforzi, dell'impegno, la questione marketing deve avere un valore ancora più alto, deve essere nobilitata e quindi presa in considerazione.
  • Un restyle non è un lavoro banale: ridefinire un'identità senza stravolgerla, mette in campo qualità che non solo sono “tecniche”. Bisogna avere un certo tatto sia a livello grafico che a livello di rapporto con il cliente (sopratutto se è molto affezionato al suo logo) perché si tratta con una materia molto sensibile. Esagerare, spingere troppo in una direzione o in un'altra può essere un grave errore.
  • Non tutti i loghi devono essere opere concettuali, perché, banalmente, ad alcune realtà non serve che lo siano. Ci sono situazioni in cui un logo deve parlare in modo più diretto, meno criptico, meno “design”. Guardate dove siete, guardate il vostro obiettivo. Non ragionate a compartimenti stagni.
  • Ascoltate. Assorbite. Non lasciatevi scappare nessuna frase, nessun appunto, nessuna remora. È tutto materiale preziosissimo per il vostro lavoro. Abbiate l'umiltà di dire: “questo non lo sapevo”.

 

Date uno sguardo al lavoro de Il cerchio colorato e se potete offrite un aiuto concreto a questa incredibile realtà.

http://www.ilcerchiocolorato.it/